Il pane sardo

baunei pane sardo ghiande“…L’arte di questo panificio di ghiande è contenuta nei seguenti semplici procedimenti, sbucciamento delle ghiande, bollimento delle medesime in acqua schietta, ribollitura delle medesime già ammollite per la prima operazione in acqua, cui si appropriò la viscosità d’un’argilla rossa, con cui fu mescolata, versamento sopra il vaso bollente d’una lissivia fatta con le ceneri del sarmento o del leccio.

Allora la ghianda stracotta precipitava al fondo della caldaja, e quindi quella pasta si forma in tavolette dalle quattro alle sei once e se ne fa tanta quantità che possa bastare per sei mesi…”.

Nella foto, pani di ghianda di Baunei. S conservavano molto a lungo, comodi per essere portati dai pastori nei lunghi periodi passati nei pascoli.

Così, sommariamente, si descriveva, intorno al 1850, la panificazione della farina di ghiande in Sardegna.  Ed in effetti il pane di ghiande della Sardegna è uno dei pochissimi esempi al mondo di utilizzazione delle ghiande in tempi recenti, in modo massiccio ed in momenti normali e non solo di carestia. Il pane di ghiande sardo è dunque un monumento storico della gastronomia.

Era tipico dell’Ogliastra, della vallata del Gairo e di Baunei fino ai primi decenni del secolo scorso e ancora oggi qualcuno, in speciali occasioni, è in grado di prepararlo.  Le ghiande lavate, asciugate, sbucciate e pelate venivano messe in un paiolo di rame. Nel frattempo in un recipiente di terracotta  si poneva dell’argilla che veniva sciolta, con l’aiuto di un mestolo, in acqua fredda aggiunta via via; quando tutta l’argilla era ben sciolta si versava nel paiolo delle ghiande. La mescola veniva bollita a lungo, aggiungendovi della cenere delle potature delle viti. A fine cottura, molte ore dopo, si estraeva la parte più solida che veniva suddivisa in panetti e messa a raffreddare in dei vassoi; si chiamava lande. La parte più liquida veniva lasciata ancora sul fuoco a ritirarsi fino a che non diventasse della consistenza della polenta. Si confezionavano quindi delle focacce che venivano messe ad asciugare su dei fogli di sughero e questa era la fitta

Ciò che si otteneva erano, dunque, due prodotti diversi: da una parte il “lande”, che costituiva il nutrimento destinato agli uomini per i loro lavori pesanti; dall’altra la “fitta”, che costituiva, invece, il prodotto più delicato, in genere destinato agli ammalati e ai bambini, poiché considerato quasi un dolce. Questo procedimento è stato osservato e descritto nel 1957 a Baunei.

“Il primo marzo 1957, al fine di renderci esatto conto degli ingredienti, del modo e dei tempi con i quali questo tipo di pane veniva preparato, ne facemmo confezionare una discreta quantità, seguendo ininterrottamente le varie fasi che, non senza un certo rituale, si svolgono nel modo seguente. Bernarda si inginocchia sul pavimento ed invita i presenti ad unirsi alla preghiera, da recitarsi a voce alta, e segnandosi così comincia: «Su nomini de su Babbu, de su Fillu, de Su Spiritu Santu. Amen, Gesusu... Signore deo bos offergiu custu traballu... Dagededdi sa Santa Benedizioni Ostra» (Il nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Amen, Gesù. Signore, io Vi offro questo lavoro. Voi dategli la Vostra Santa Benedizione). Bernarda prende sa taxedda de pistadorgiu, sacchetto di pelo di capra…e vi versa Kg. 3,100 di ghiande sgusciate che per 21 giorni erano state tenute ad asciugare in una sporta appesa al caminetto. Il sacchetto preso per l’imboccatura ripiegata viene sbattuto con forza sullo scalino di pietra della cucina fino a quando si è del tutto staccata la pellicola gentile; chiamata camisòla che avvolge e tiene unite le due facce della ghianda. Il tipo di ghiande impiegato si chiama land ‘e perra, prodotto dalla Quercus ilex, è di colore simile alla tonaca di cappuccino. La pellicola ha pesato gr. 100. I tre chili di ghiande vengono versati in un caddargiu, caldaia di rame. A parte, in una impastèra (conca di terracotta), Bernarda versa Kg. 2 dì torco (argilla) e con la tulla (mestolo di legno) lo agita per sciogliere eventuali grumi e vi aggiunge sette litri di acqua fredda. Il tutto si mescola per una ventina di minuti e cioè fino quando il torco si è sciolto trasformando l’acqua in un infuso schiumoso color caffelatte. Tre quinti di questo liquido vengono versati nel paiolo che contiene le ghiande. A tal uopo si usa il coladòri (passino, fatto con un triangolo di legno e con una murga di unundenti de linu (pezzo di tela di lino). La caldaia con le ghiande e col torco viene adagiata sopra unu trebièse (treppiede di ferro) che si trova già collocato sul fuoco acceso, nel caminetto. Da questo momento inizia la cottura vera e propria ed inizia anche la metamorfosi del colore delle ghiande che da rosso-marrone diventa nero, forse a causa delle combinazioni dell’acido tannico col ferro contenuto nell’argilla… Si versa nel paiolo un ramoscello di palma benedetta per scongiurare is malifattus (malocchio)… un altro ramo era stato collocato nel recipiente col quale.era stato trasportato il torco prelevato nella cava di Bau’e Porcu. Questo torco è il migliore della zona per sapore, colore e per la quantità di sostanze minerali nutritive e rinfrescanti che contiene… Per surrogare l’acqua che si consuma per l’evaporazione, Bernarda versa lentamente nella caldaia tutto l’infuso che è nell’impastèra… Si aggiunge gr. 40 di cenere di vitigni perché la soda in essa contenuta facilita la cottura delle ghiande… Il lande è cotto. Col passino Bernarda toglie le ghiande che non si sono spappolate e le versa in grandi taggèris (vassoi rettangolari di ontano o castagno, ancora molto usato nelle famiglie come piatto da portata o di uso collettivo)… per raffreddare. Rimette la caldaia sul fuoco fino a quando la rimanente broda non diventa densa. Questa specie di polenta, che ormai assume il nome di fitta, viene versata sulla tavola e man mano che raffredda Bernarda la trasforma in focaccine poco più grandi di un amaretto, che poi colloca su fogli di sughero fino ad asciugare. È il prodotto più delicato ed è destinato agli ammalati, ai deboli di stomaco ed ai bambini come se si trattasse di un dolce. Il lande invece è il prodotto così detto robusto, cioè nutriente, adatto agli uomini giovani che svolgono lavori pesanti. La fitta si presenta come una cioccolata morbida, il lande come torrone nero. L’una e l’altro hanno l’odore delle prugne secche, struttura compatta, senza bolle d’aria e si consumano con latte, formaggio e miele. Il prodotto destinato ad essere conservato fino a 10 o più giorni sarà messo in cestini di canne da appendere non lontano dal fuoco onde impedire che si sviluppi quella ben nota vegetazione di muffe dalle sottilissime ife di colore verdastro. Per la confezione sono stati utilizzati: gr. 3000 di ghiande della Quercus ilex, gr. 2000 di argilla (meno 980 gr. di residui non solubili rimasti nella caldaia); litri 7 di acqua fredda; gr. 40 di cenere di vitigno. E si sono ottenuti: Kg. 4,200 di lande; Kg. 1,160 dì fitta. Tempo impiegato per la cottura: ore 5,50. Un campione di 250 grammi di lande sottoposto ad analisi chimica da parte del prof. Lorenzo Pazzaglia dell’Università di Cagliari ha dato i seguenti risultati: acqua, 18%; cellulosa, 13%; sostanze amminace, 22%; zuccheri semplici espressi in glucosio, 8%; sostanze azotate, 14%; sostanze minerali, 15%; indeterminate per complemento,100% = 10. Composizione delle sostanze minerali: prevalenza di silice, alluminio e ferro; piccole quantità di calcio e magnesio; tracce sensibili di fosforo, sodio e potassio. Questi dati ci danno la possibilità di chiarire una volta per sempre che il pane di ghiande è composto di una notevole quantità di sostanze organiche azotate e di idrati di carbonio semplici e complessi e di sostanze minerali, per cui gli si può attribuire un valore nutritivo ed un’azione rinfrescante.”

Secondo un’altra preparazione, la pasta ottenuta dopo la lunga bollitura con l’argilla e la cenere dei sarmenti, si suddivideva in focacce che venivano unte con olio o con lardo e messe a cuocere sotto la cenere o nel forno, avendo l’accortezza di cospargerle di cenere per non farle attaccare.

La ricetta aveva non poche varianti. Un’altra similare utilizzava non tanto la bollitura delle ghiande con l’argilla e la cenere, ma piuttosto con dell’acqua che era filtrata attraverso l’argilla e la cenere. Nelle diverse zone della Sardegna il pane di ghiande era chiamato con nomi differenti: panispeli, lande cottu (Baunei e Triei), lande kin abba e ludu orrubiu (Talana e Urzulei).

Il pane di ghiande sardo si conservava molto a lungo ed i pastori potevano portarselo sui pascoli con facilità. Ci sono fonti che dicono che negli anni ’20 c’era ancora un commercio di tale pane che, addirittura, veniva venduto a prezzi superiori di quello di grano.  

Da notare che anche certi Indiani della California usavano della terra rossa ricca di ferro, ceneri di legno e altri ingredienti per neutralizzare i tannini delle loro ghiande.

Purtroppo a Baunei non è rimasto assolutamente nessun vestigio di questa antica tradizione. Alcuni anni fa una studentessa redasse una tesi di laurea sul pane di ghiande, ma senza nessun seguito. Nonostante l’interesse di alcuni storici locali non è mai stato possibile organizzare nemmeno una rievocazione storica di quell’antica pratica. Ed è un vero peccato perche potrebbe trattarsi di un richiamo turistico di certo spessore.  

Leggermente diversa la situazione ad Urzulei, sia nei tempi storici che in quelli attuali. Nel paese, che dista meno di 25 chilometri, nelle montagne dell’Ogliastra, in cui si trova Baunei, si faceva un pane del tutto simile a quello appena descritto, ma, apparentemente, senza l’uso dell’argilla. Le ghiande, dopo la raccolta autunnale, venivano seccate in luogo asciutto, durante i mesi invernali, e poi sbucciate sia del guscio che della pellicola interna. Erano messe in un paiolo di rame riempito d’acqua per metà e lasciate bollire dall’alba fino al tramonto, quando si formava una poltiglia nera. Alla fine veniva aggiunta della cenere di vite. Alla poltiglia più solida, risultante dalla lunga bollitura, veniva data la forma di pagnotte mentre il liquido che restava veniva lasciato ulteriormente a consumarsi nel pentolone sul fuoco fino ad ottenere una sorta di vino cotto molto denso che veniva scolato e lasciato solidificare in forma di ciambelline. Queste, una volta raffreddate, potevano essere mangiate. Il sapore del pane di ghiande è molto simile al pane di sapa ottenuto dal vino cotto ed è ricchissimo in sali minerali. La mancata utilizzazione dell’argilla può essere spiegata dal fatto che si usavano ghiande dolci che sono presenti nella zona di Urzulei. Sono prodotte da un tipo di leccio, hanno la forma rotondeggiante delle nocciole, sono evidentemente preferite dagli animali che se ne cibano per prime e sono raccolte dagli abitanti del luogo per esser date ai maiali che certe persone allevano per uso famigliare. Da ricordare che l’Ogliastra è famosa per i salumi, alcuni dei quali sono di livello eccelso. È  curioso notare come la forma “a nocciola” di queste ghiande ricorda la denominazione di certe ghiande spagnole particolarmente dolci: “avellaneras” e cioè “nocciolaie”.

A Urzulei la tradizione del pane di ghiande non è completamente scomparsa. Anni fa il Servizio Forestale riprodusse il pane ed oggi una anziana signora ha creato una sorta di piccolo museo famigliare dove vende liquori e conserve casalinghe e fa assaggiare ai visitatori dei frammenti di una specie di biscotto di ghiande. La figlia della signora bolle in una pentola a pressione le ghiande dolci raccolte, essiccate, sgusciate. La pasta così ottenuta viene congelata e, all’occorrenza, viene cotta sul fuoco fra due piastre di metallo; all’uso dei brigidini toscani o dei necci pistoiesi. Il prodotto così ottenuto si conserva a lungo. È  evidente che questo pane non ha molto a che fare con il pane tradizionale, ma è comunque degno di lode che qualcuno cerchi di tenere in vita un sia pur tenue ricordo di una importante ed antica attività.

Piace ricordare che ad Urzulei, Baunei ed in generale in tutta l’Ogliastra si respira, per quanto riguarda le ghiande, un’atmosfera completamente differente a quella che si trova nel resto d’Italia. All’intervistatore attento non sfuggirà la conoscenza diffusa che si ha delle ghiande e, soprattutto, la partecipazione con cui se ne parla. Mentre altrove vige sovrana l’ignoranza, la superficialità, il disprezzo verso questo frutto, nell’Ogliastra si avverte la vicinanza ed il rispetto nei confronti del pane del passato. Certo si nota anche la vergogna della miseria che portava a mangiare quel pane, ma quando un forestiero se ne interessa, traspare chiaramente l’orgoglio di averlo fatto. In quel luogo le ghiande stanno ancora nel cuore della gente.             

 

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